cenni storici

Conosciuta come Città Arabo Normanna, Tricarico è uno dei più suggestivi centri della provincia di Matera, ricca di monumenti e protagonista di una storia millenaria che si intreccia, da un lato, con la diocesi di cui è sede sin dal sec. X e, dall’altro con la cultura delle genti che l'hanno popolata. Secondo alcuni studiosi, il toponimo potrebbe derivare dal greco “treis” (tre) e da “akros” (vetta, monte) e quindi “città dei tre monti”; secondo altri, invece, dal greco “treis kari kora” o “treis kariaris” e, quindi, “città delle tre grazie” o “città graziosa”, altri ancora l’associano al latino “trigarium” ossia il luogo in cui gli aurighi si allenavano con la triga (carro trainato da tre cavalli). Il ritrovamento di alcune tombe del VI sec. a.C., fanno pensare che la sua fondazione risalga all’epoca preromana anche se la prima fonte documentata la ricorda come città longobarda, inclusa del gastaldato di Salerno (849) e sede di una diocesi di rito greco (968), poi passata al rito latino (1060). Divenne roccaforte araba tra il IX e il X sec. Durante la dominazione bizantina, divenne “città fortificata” ed acquisì maggiore importanza con l’avvento dei Normanni (1048). Nel XV sec., Tricarico si arricchì della presenza di una consistente comunità ebraica e, nel XVI sec. di una comunità albanese, in concomitanza con la presenza, alla guida del feudo, di ERINA (o lrina) CASTRIOTA SCANDERBEG (nipote dell'eroe albanese Giorgio Castriota Scanderbeg) sposa del principe Pietro Antonio Sanseverino. Nel 1631 il feudo fu acquistato da Ippolito Revertera, duca della Salandra, che nell'occasione trasferì la sua residenza da Miglionico a Tricarico, nel castello che da allora è conosciuto come Palazzo Ducale. I Revertera tennero il feudo fino alla soppressione della feudalità. La presenza, nei secoli, di popolazioni arabo-mussulmane, ebraiche, albanesi, il mecenatismo dei Sanseverino e di molti vescovi, la presenza di un seminario e di numerosi conventi, i costanti rapporti mantenuti con l’aristocrazia locale con gli ambienti napoletani hanno permesso alla città di ricoprire una posizione di rilievo nel panorama culturale e politico della Basilicata.


itinerario turistico

Il centro storico alto-medievale si rispecchia in maniera esemplare nei quartieri di Ràbata, Saracena, Civita, Piano e Monte. Di natura islamica sono i quartieri di Ràbata e Saracena, caratterizzati, entrambi, da una via principale (shari) e da una moltitudine di vie secondarie (darb) che si intrecciano fra loro confluendo in vicoli ciechi (sucac). A ridosso dei due quartieri possiamo ammirare orti e giardini terrazzati, un esempio notevole dell’arte araba di coltivare terreni brulli e aridi. Restano ancora tracce delle poderose mura di cinta e gli accessi alla città con le torri (Porta delle Beccarie, Porta Monte, Porta Fontana, Porta e Torre della Ràbata e Porta e Torre Saracena). Tra i monumenti religiosi di particolare interesse artistico ricordiamo la Cattedrale dedicata a Santa Maria Assunta del XI sec., nella quale , nel 1383, fu incoronato re di Napoli Luigi I D’Angiò; la Chiesa di Santa Chiara (XIV sec.) con annesso Convento sede dell’istituendo Museo delle Arti Figurative e la Chiesa di San Francesco d’Assisi (XIV sec.) con attiguo ex Convento dove ha sede il Centro di documentazione sul meridionalismo. La Torre Normanna (sec. XI –XIV), alta ventisette metri e con mura spesse anche oltre i cinque metri, è interessante non solo dal punto di vista artistico, ma anche per un singolare fenomeno naturale: sulla sua sommità, pur non essendovi muri intorno, se ci si mette sulla pietra posta al centro della superficie, si sente la propria voce rimbombare come se si fosse in una caverna. Possiamo, inoltre, ammirare il Palazzo ducale (sec. XIV-XVII) con il Museo archeologico; il Palazzo vescovile dove ha sede il più antico archivio storico diocesano della Basilicata; l’imponente Palazzo Lizzadri, residenza della poetessa Laura Battista; l’Arco di re Ladislao, ornato di bassorilievi e sormontato da una statua della Madonna con il Bambino. Fuori dal centro storico si possono visitare il Convento di Sant’Antonio da Padova (1479), il Convento di Santa Maria del Carmine (1605) e la Chiesa di Sant’Antonio Abate (sec. XIV), cui è legata la tradizione delle “Maschere di Tricarico”. Inoltre, nel bosco di Fonti sorge il Santuario di Santa Maria delle Fonti del XIII sec. Le vicende storiche e culturali hanno fatto di Tricarico un centro di primaria importanza, tanto da essere l’unica città lucana ad essere raffigurata nella prestigiosa opera di G. Braun e F. Hogemberg “Theatrum Urbium Praecipuarum Mundi”, pubblicato a Colonia tra la fine del 1500 e l’inizio del 1600.


archeologia

Il territorio di Tricarico è ricco di testimonianze archeologiche con tre città due delle quali costituiscono i più vasti centri lucani mai rinvenuti. La città fortificata di Serra del Cedro, oltre alla complessità del sistema viario e la sua notevole estensione (circa 60 ettari), presenta forti analogie storiche con i vicini centri di Croccia Cognato e Serra Vaglio. La presenza umana presso il centro di Serra del Cedro risale al VI sec. a.C. e prosegue fino alla fine del III sec. a. C; la distruzione è da attribuirsi ad eventi bellici che si conclusero quando Roma completò la conquista della Magna Grecia, dopo aver distrutto Taranto, nel 272 a.C. La città fortificata Piano della Civita con tre cinture murarie, mostra tracce di occupazione a partire dalla fine del IV sec. a.C. fino all’età romano-repubblicana, epoca a cui risalgono gli edifici dell’acropoli: una domus romana ed un tempietto italico, visitabili contattando la sede della locale Soprintendenza Archeologica. Dopo il suo abbandono (intorno al I secolo a. C.), nel territorio di Tricarico continuarono a vivere numerose fattorie, abbandonate intorno al IV-V sec. d. C., fase in cui inizia un nuovo ciclo di inurbamento che probabilmente coincide con lo sviluppo della città di Tricarico. L’insediamento di Calle si espande intorno al II-I sec. a.C. e vive fino al V sec. d.C., divenendo un importante centro termale, oltre ad un luogo conosciuto anche fuori dai confini regionali per la produzione di ceramica.


i boschi

Il territorio di Tricarico ha una superficie di oltre 17.000 ettari, di cui circa 2.500 sono boschi. Il più grande è quello di Tre Cancelli-Fonti, esteso circa per circa 600 ettari dove crescono cerri e roverelle. Il sito, adiacente all’area archeologica di Civita, è da sempre meta di visitatori locali e non, attratti dalla tranquillità e dalla possibilità di poter fare un pic-nic in un’area attrezzata con tavoli, panche e barbecue in pietra ed una struttura sportiva con campi di calcetto, pallacanestro, pallavolo e bocce con un percorso attrezzato da punti panoramici di osservazione. Un altro bosco di notevole importanza è quello di Mantenedra-Malcanale, con i suoi 500 ettari ha un ambiente naturale ricco di conifere, cipressi e pini d’Aleppo e marittimi. In questo bosco si trova un importante area per l’osservazione del nibbio reale (Important Bird Area) ed è possibile utilizzare i percorsi trekking lungo i quali sono collocati pannelli didattici. Altri boschi sono quelli di Carbonara-Martone, Serra del Cedro e Calle San Marco. In Contrada Calle, località Grottone, vive una roverella la cui età è stimata in 625 anni. Inserita nei monumenti naturali della Regione (alberi Padri), è alta 16 metri con un tronco di oltre 6 metri di circonferenza. Nei boschi non mancano funghi commestibili e specie tossiche e velenose, come le amanite phalloides, virosa e verna, per cui si raccomanda la massima cautela.


personaggi illustri

Le pitture che ornano numerose Chiese e Conventi di Tricarico si devono all’artista Pietro Antonio Ferro che nel 1600 contribuì allo sviluppo culturale della cittadina. Agli inizi del XVII sec., Tricarico conobbe, infatti, un periodo di splendore urbanistico, dovuto al sensibile aumento demografico e alla vivacità economica ed intellettuale. Eccezionale sviluppo ebbe l’arte figurativa: noti gli affreschi dell’artista custoditi presso la Chiesa di Santa Chiara e nella Chiesa di Santa Maria del Carmine. Il Ferro e, successivamente anche i suoi figli, Carlo e Giovanni, seppero elaborare un maturo linguaggio pittorico che influenzò il panorama artistico della regione nei primi quarant’anni del 1600. Tricarico è nota anche per aver dato i natali a Rocco Scotellaro (1923 – 53), scrittore, poeta e politico. Nonostante le umili origini, divenne protagonista del rinnovamento della vita politica lucana negli anni ’40 e ’50 e a soli ventitré anni divenne Sindaco di Tricarico, dopo la Liberazione; nello stesso tempo fu un intellettuale vivace che contribuì significativamente al dibattito sulla Questione meridionale. Scotellaro ha lasciato segni significativi nel panorama letterario non solo italiano con un centinaio di liriche, che a giudizio di Eugenio Montale, rimangono “tra le più significative del nostro tempo”. Un percorso letterario dedicato a Scotellaro è stato allestito dalla Pro loco di Tricarico lungo i vicoli del centro storico, che consentono al visitatore di leggere i componimenti nei luoghi che hanno ispirato l’autore. Altro personaggio da ricordare è Mons. Raffaello delle Nocche, Vescovo della Diocesi dal 1922 al 1960. Si dedicò con intelligenza e amore all’opera di redenzione morale e materiale del suo popolo, fondando nel 1922, una Congregazione religiosa femminile: le “Discepole di Gesù Eucaristico” oggi presente in varie parti del mondo. Mons. Delle Nocche fu, insieme a Scotellaro, parte determinante nell’istituzione dell’ospedale civile. Morì il 25 novembre del 1960 e un museo è stato allestito presso il Convento di Sant’Antonio da Padova, dove è stata ricostruita la sua stanza per testimoniare quanto fosse frugale il suo modo di vivere. Un sacerdote al servizio dei poveri e degli anziani è stato sicuramente Don Pancrazio Toscano (1883-1961) che, nell’intento di offrire un tetto sicuro e un pasto giornaliero ai poveri del paese, individuò nell’allora diroccato Convento di Sant’Antonio da Padova il luogo adatto per fondare un orfanotrofio e un istituto di ricovero per anziani e diseredati. Il suo corpo riposa nella Chiesetta del Rosario, realizzata di fronte al complesso monumentale da lui recuperato.


carnevale

Il Carnevale di Tricarico inizia il 17 Dicembre in occasione della festività di Sant’Antonio Abate, quando il paese si risveglia al suono allegro di campanacci portati dalle Maschere di Tricarico (in dialetto “L’ màsh-r”) travestite da mucche e da tori. L’abito delle mucche è rappresentato da pesanti maglie e mutandoni di lana, uno scialle legato in vita e numerosi foulard colorati legati al collo, alle braccia ed alle gambe mentre i tori hanno abiti neri e foulard dello stesso colore o rossi. Tutti indossano un cappello a larga falda con un velo che copre il volto, bianco per le mucche e nero per i tori . Accompagnati dal capomassaro, dal sottomassaro e dai vaccari, si ritrovano all’alba sul piazzale antistante la Chiesa del Santo Eremita per compiere i rituali tre giri intorno alla chiesa e per assistere alla Messa. Al termine le maschere scendono in paese come in una transumanza. I festeggiamenti durano fino a sera e sono un’ottima occasione per consumare salsicce e soppressate offerte dai cittadini che ricevono la visita dell’allegra compagnia. Il paese risuonerà dei canti carnascialeschi fino al martedì grasso ma la sfilata conclusiva è anticipata alla domenica precedente. Tricarico e le sue maschere fanno parte della Federazione Europea Città del Carnevale, prestigioso riconoscimento per la cittadina. Nel mese di giugno Tricarico ospita il raduno dele maschere antropologiche di tutta italia, una festa entusiasmante, ricca di allegria, suoni e immagini, adatta a grandi e piccini.

gastronomia

La cucina tradizionale offre prodotti semplici e genuini come il pane e le focacce; la pasta fresca fatta in casa e i dolci tipici. Una merenda estiva è costituita proprio dal pane raffermo appena bagnato e condito con olio extravergine e pomodorino fresco (acqua-sale) mentre, il “pancotto” con le cime di rapa o sugo di pomodoro con cipolle e peperoncino riscalda le cene invernali. I primi piatti prediligono la pasta fatta in casa come i “frizzùl”, lavorati con sottili fusti di giunco, conditi con sugo; oppure i “cafatìdd” con sugo o cime di rapa, i “r-cchijtèll” al sugo di carne e i “laganìdd” con lenticchie. La cucina si è arricchita anche di sapori arabi come con le “lagàne” (tagliatelle) con mollica ed uva passa, un piacevole incontro tra dolce e salato. Per i secondi si predilige la carne di pecora, capretto e maiale cotta al forno o sulla brace e accompagnata da cipolle patate e peperoni. Tricarico è nota anche per la produzione di salumi stagionati, formaggi pecorini e latticini di produzione locale. Gustose sono le minestre a base di verdure come le fave con cicoria, i finocchietti utilizzati da soli o come contorno per salsicce, consumate nel periodo pasquale. Ed infine, i dolci ripieni di un impasto di ceci e cioccolato, le “casatèdd”, ricoperte di miele locale, le “sk’rpedd” (frittelle salate) per Natale e, ancora “’a p-zzlatèdd” di Pasqua: rustica, con formaggio fresco “tuma” e soppressata, oppure dolce, con ricotta, zucchero e cannella; i taralli “c’u celepp” (taralli con la glassa) e tanti altri. Tutto è accompagnato con vini locali rossi e corposi fatti da uve Malvasia, “Culatammòrr” e Scherzetto (vitigno autoctono), rosso dolce Cerasuolo e bianchi secchi o con boccata dolce, Moscato e Malvasia profumati d’estate.


zona industriale

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c.da tre cancelli

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