cenni storici

Tursi, città natale di Albino Pierro, due volte
candidato al Nobel per la letteratura, sorge su una collina di formazione arenaria fra i umi Agri e Sinni. In memoria dell’illustre poeta è stato realizzato il “Parco letterario Albino Pierro” situato in posizione suggestiva sui calanchi; all’interno del Parco, il Museo della Poesia Pierriana comprende una mostra permanente di dipinti ispirati alle poesie del poeta tursitano. Gli studi sui reperti archeologici presso il Castello hanno dimostrato la presenza di insediamenti umani risalenti al XII secolo a.C.. Tursi si ritiene fondato dai Goti dopo il 410 d.C.. i quali, dopo aver distrutto la vicina Anglona, costruirono un castello sulla collina ove si originò il primo nucleo abitato. Il governo dei Goti durò 77 anni, dal 476 al 553. Nel 554 subentrarono i Bizantini. Gli Arabi Saraceni, provenienti dall'Africa, tra gli anni 850 e 890 occuparono l'esistente nucleo abitativo. Durante la loro breve permanenza, il nascente borgo fu denominato Rabatana, nome che proviene dall'arabo Rabhàdi che sta per borgo forticato. Il quartiere, infatti si caratterizza per essere di dicile accessibilità caratterizzato da vicoli scoscesi, gradinate tortuose che conducono a profondi precipizi, che il poeta Pierro chiamava “Jaramme”, e un groviglio di case realizzate in pietre e laterizi. Le tracce della dominazione araba sono ancora evidenti nelle costruzioni, nelle tradizioni e nella cultura.
Nell’890 è la volta dei Bizantini che denominano l’intero centro Tursikon, in onore del fondatore Turcico. Si succedono poi Normanni, Svevi e Angioini, contribuendo alla crescita della città. Dalla denitiva distruzione di Anglona, viene salvato solo il santuario e nel 1400 i cittadini si rifugiarono a Tursi, con la successiva fusione delle due diocesi.
È Andrea Doria (1552) a ricevere da Carlo V il ducato di Tursi, scomparso nel 1769 con la conseguente acquisizione dei terreni da parte delle famiglie Donnaperna, Picolla, Panevino, Camerino e Brancalasso.

itinerario turistico

Ogni angolo di Tursi suscita nel visitatore curiosità e sorpresa. L’antico borgo della Rabatana con i suoi burroni profondi e inaccessibili, è sicuramente uno dei punti di maggiore attrazione. In Piazza Maria Santissima di Anglona si trova la Chiesa dell’Annunziata costruita nel 1400 a ridosso di una chiesetta del 1300, oggi sacrestia. La cattedrale ha perso il suo stile originario in seguito ad uno spaventoso incendio (1988) che devastò totalmente l’intero edificio. All’interno la struttura presenta una pianta a croce latina a tre navate con tre porte d’ingresso nella facciata principale e una serie di altari in marmo. Lungo la navata centrale si può notare un sotto in legno a cassettoni. Nella stessa
Piazza sono visibili i resti del Castello Gotico che, in base ad alcune documentazioni del cinquecento, pare sia stato abitato no al XVI secolo. Dimora di numerosi signori, principi e marchesi, durante i periodi di guerra il maniero ha rappresentato, però, una vera e propria fortezza. Attraversando le vie del centro storico si giunge in Piazza Plebiscito, dove è ubicata la Chiesa dedicata al Santo Patrono San Filippo Neri, di stile barocco, datata 1661. Conserva pregevoli pitture, tra cui un quadro del Santo protettore arma del pittore tursitano Domenico Simeone Oliva.

albino pierro

Albino Pierro nasce a Tursi il 19 novembre 1916. La sua infanzia è segnata dalla prematura scomparsa della madre, morta quando aveva solo pochi mesi di vita. La gura materna e il paese natale sono i pilastri della poetica pierriana. Il padre Salvatore si risposa mentre Albino viene adato alle cure delle zie Assunta e Giuditta, due gure che compaiono nei versi del poeta maturo. Dopo gli anni di studio, nel 1939 si stabilisce denitivamente a Roma dove si laurea in filosofia a nel 1944, insegna in alcuni licei e collabora con le riviste «Rassegna Nazionale» e «Il Balilla». Dal 1946 al 1967 Pierro pubblica raccolte poetiche in lingua, ma è con i versi in dialetto che si conquista un posto d'onore nel panorama della poesia italiana del Novecento. La prima raccolta poetica in Tursitano risale al 1960 “A terra d'u ricorde”. Nei suoi versi si colgono gli stati d'animo del poeta, volutamente ricondotti a una dimensione elementare e primitiva. I suoi i versi cominciano ad essere tradotti in francese, inglese, tedesco, svedese, persiano, arabo, neo-greco, portoghese e spagnolo. Negli anni Ottanta arrivarono i primi riconoscimenti uciali e si aprono le porte dell’Università di Stoccolma (1985) dove viene invitato a leggere poesie. Nel 1992 l'Università degli Studi della Basilicata gli conferisce la laurea honoris causa. L’anno successivo la Scuola Normale Superiore di Pisa organizza un incontro con il poeta. Più volte Pierro si avvicina alla vittoria del Nobel, un riconoscimento atteso, ma mancato. Muore a Roma il 23 marzo 1995. Nel centro storico di Tursi, nel quartiere San Filippo, si trova la Casa Museo “Albino Pierro”. La struttura è su più livelli: da via Giuseppe Garibaldi si accede al Museo della Poesia Pierriana che conserva dipinti, poesie, oggetti e cimeli delle opere; da corso Umberto I si accede alla Pinacoteca, esposizione permanente di alcune opere d'arte realizzate da numerosi artisti lucani nel decennale della morte. Nella Casa Museo si trovano le sale “Rocco Brancati”, “Felice Di Nubila” e “Studio Albino Pierro”. È quindi quasi naturale la fondazione del Parco Letterario
Albino Pierro, gestito dal Centro Studi, per promuoverne la memoria e le opere, il suo valore storico e culturale. patrimonio culturale, e la sopravvivenza stessa del dialetto, con l'organizzazione di eventi di alto livello, apposite manifestazioni e visite guidate.

gastronomia

La tradizione culinaria di Tursi trae ispirazione dalla cucina contadina di un tempo, proponendo sempre stuzzicanti varianti.
Molto diusi sono il cosiddetto “cotto di chi”, una deliziosa composta da utilizzare in ricette diverse, e “i gileppi” con le arance “stacce”, una squisita marmellata di bucce di arancia realizzata con questa tipologia di agrume. Il nome di questa arancia deriva dalla sua particolare forma schiacciata simile alle “stacce”, bocce di pietra di un antico gioco. Questo frutto matura nel mese di marzo ma può rimanere sugli alberi no ad agosto. La sua buccia è spessa e soce, la polpa è senza semi e il sapore è squisito. Nel 2007 è stato creato il Consorzio per la Tutela e Valorizzazione dell’Arancia Staccia di Tursi e Montalbano Jonico per richiedere la tutela ed il riconoscimento comunitario della D.O.P. L’arancia è giunta in questo territorio grazie ai saraceni che arrivarono a Tursi nel IX sec e si insediarono nella parte alta del borgo, nella zona araba “Rabatana”. Ancora oggi nel dialetto locale l’arancia viene chiamata “portual”, nome di chiara origine araba. Una leggenda narra che i Saraceni avevano l’abitudine di mangiare l’arancia staccia sbucciata, tagliata a fette, coperta da cannella e cipolla, inne condita con un lo d’olio. Le bucce venivano raccolte e bollite con lo zucchero. Lo sciroppo preparato, chiamato “giuleppo” veniva utilizzato dai Tursiani per condire le costolette di maiale fritte nel lardo. Prodotto locale è poi il fungo cardoncello, cucinato in svariati modi o mangiato anche crudo con ricotta dura, limoni e l’olio d’oliva delle Murge materane. Tra le ricette tradizionali spiccano: cardi al cacio e uova, legati alla ricorrenza del Lunedì dell’Angelo, “i pirc’dduzz”, pasta di casa a tocchetti condita con il vino cotto, i fusilli con la mollica di pane fritto e la capriata, un minestrone composto da una varietà di legumi e patate. Da non dimenticare la pasta casereccia e il pane cotto nel forno a legna proposto in diverse forme: “a pitta”, una specie di ruota piana, e “u piccillète”, una sorta di ciambellone bianco, tra le focacce troviamo anche “a caccallèt” che può essere dolce, con l’uva sultanina, o salata. Non manca del buon vino come il Matera DOC.

maria ss. regina d'anglona

La comunità tursitana è custode di un prezioso patrimonio religioso che si compone di architetture sacre dislocate nei diversi quartieri della città e di tradizioni molto sentite e attese ogni anno, come il pellegrinaggio in onore di Santa Maria SS. Regina d’Anglona. È il 19 maggio 1901 il vescovo Carmelo Pujia incorona la Vergine Maria “Regina di Anglona”. Da questo momento in poi l’omonimo piccolo borgo lucano le resterà per sempre fedele. La devozione per la Santissima a onda le sue radici nella leggenda di un giovane pastore che vide una bellissima signora avvicinarsi dicendo: “recati in paese e invita tutti gli abitanti a venirmi a prendere.” Il ragazzo ubbidì e corse in paese per invitare i compaesani a prendere la signora. Giunti sulla collinetta videro che si trattava della statua della Madonna. A questo punto il messaggio lasciato al giovane pastore divenne chiaro a tutti: la Madonna è apparsa per chiedere di essere portata nel suo Santuario. Solo una volta l’anno la Madonna lascia il Santuario. È la prima domenica dopo Pasqua, quando, trasportata a spalla dai pellegrini, è condotta no alla Cattedrale di Maria Santissima dell’Annunziata di Tursi, a 12 chilometri dalla collina.
La statua resta nella cattedrale per due settimane, per fare poi ritorno, in genere il primo giorno di Maggio, ancora sorretta dai fedeli, nel Santuario d’Anglona. Il percorso è arontato in un’atmosfera di devozione totale, nel corso del quale i pellegrini pregano, intonano canti e vivono un intenso contatto con la Vergine. In suo onore, il giorno dell’8 settembre, in cui ricorre la festa patronale, fedeli provenienti da tutta la diocesi accorrono per rendere onore alla statua della Vergine, acclamandola con veglie di preghiera, canti, solenni messe, processioni e fuochi di articio. Il Santuario dal 1931 è diventato monumento
Nazionale e nel 1999, per volontà di Papa Giovanni Paolo II, è stato elevato alla dignità di ponticia basilica minore. Il monumento è ciò che resta dell’antica città di Anglona. L’attuale struttura della Cattedrale costituisce l’ampliamento di una prima chiesetta. Il prospetto è arricchito da un nartece. Sul frontale del portale si trovano formelle di tufo calcareo con bassorilievi che ragurano l’agnello, i simboli dei quattro evangelisti ed altre gure simboliche. I recenti restauri hanno ridato colore e splendore agli a reschi del XIV secolo.